Come comprenderlo ed averne cura

Cosa fare o non fare per vivere in perfetta armonia col gatto.


Un gatto o una gatta?

«Mah !». Come, non lo sapete? «Eppure è semplice. Chiamatelo: se arriva lui è un gatto; se invece arriva lei, è una gatta!».

Dimenticate pure questo ridicolo scherzo; tuttavia dovete imparare a riconoscere il maschio dalla femmina, anche nei gattini appena nati. Non ridete: anche gli allevatori, qualche volta, si trovano in dubbio quando i gattini hanno solo pochi giorni.

Sollevategli semplicemente la coda. Che cosa vedete? Due orifizi. Se sono quasi in contatto l'uno con l'altro, è una gatta. Se un netto spazio li separa, è un gatto.

Avreste preferito... No, non dovete rimpiangere nulla, gatto o gatta, l'uno e l'altra hanno i loro inconvenienti e i loro vantaggi; e dato che un giorno o l'altro prenderete una gatta per far compagnia al gatto, o un gatto per calmare la gatta, non ha importanza con quale dei due incominciare. Nel frattempo tenetevi quello (o quella) che la sorte vi ha dato.


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Primi contatti

Avete un gatto in casa? Quindi avete nello stesso tempo un microfono, un pezzetto di cera vergine, una cellula fotoelettrica, una macchina fotografica, un radar: tutto un meccanismo da «incisioni» preciso, che osserva, annota, registra, ricorda tutto, odori, suoni, immagini, prima di farsi un'opinione.

Non fate le cose in fretta: lasciate al nuovo venuto la possibilità di prendere contatto con quello che lo circonda. Da questo primo contatto può dipendere tutta l'armonia del vostro accordo. Non prendetevi confidenze con lui; non cercate di persuaderlo, con dei «Micio micio...» o altre onomatopee ridicole, che la lingua felina non ha segreti per voi; non miagolate! Accontentatevi di «pensare da gatto». Immaginatevi in un paese sconosciuto; pensate che intorno a voi tutto è sospetto e minaccioso, insolito e pericoloso; potrete così accordare al nuovo venuto l'indulgenza molto naturale che avreste per un bambino molto piccolo e spaventato. Questa pazienza comprensiva, dovete persuadervi che s'impone assai di più di fronte a quell'essere ipersensibile che è un gatto di qualche settimana o di qualche mese.

C'è l'ascensore, i cui brontolii sornioni sembrano attraversare di continuo il pavimento di ogni piano. C'è la scala: un abisso; l'aspirapolvere: un drago. C'è un uomo che sa di tabacco e che sembra trascinarsi dietro un carro armato ad ogni passo, e una donna che si agita, e dei bambini che gridano, e lo squillo del telefono che d'improvviso trapassa il cuore come un trapano nell'istante preciso in cui, riparato sotto un mobile, il gattino credeva finalmente di potersi rilassare.

Lasciatelo fare: preso fra la curiosità di ispezionare tutto, di annusare tutto, di conoscere tutto e il terrore di essere imprudente, finirà col calmarsi.

Si abituerà a tutti questi rumori, a questi andirivieni, a tutte le vostre grida, a tutti i vostri gesti e, a poco a poco, generalmente in tre o quattro giorni, se nessuna delle sollecitazioni dei suoi sensi è seguita da un'esperienza spiacevole o dolorosa, sarà lui, rassicurato, a venire da voi.


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Il complesso di fuga

L'uomo è infatti l'unico essere che riesce a liberare gli animali dal loro complesso naturale: la fuga.

La tendenza alla fuga è l'istinto più imperioso di tutti gli animali spaventati o selvatici. Il gatto se ne libera quando, in presenza di un altro essere di forza nettamente superiore, non sente più il bisogno di «tener le distanze», cioè quando, dopo che l'uomo ha progressivamente diminuito la distanza che li separava l'uno dall'altro, il gatto non reagisce più; al momento in cui il limite di questa «distanza di fuga» viene sorpassato. Così appunto, avvicinandosi sempre di più, i domatori conquistano pazientemente la fiducia degli animali più scontrosi. Nello stesso modo dovete liberare il vostro nuovo amico dal suo complesso. Come? Utilizzando le due uniche molle, i due soli trucchi che comandano il comportamento degli individui e dei popoli: panem et circense... pane e svaghi. Dategli da mangiare e non dimenticate che il gioco sia una deviazione dell'istinto di aggressività e di combattimento, che il miglior terreno d'intesa.


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I giochi

Come tutti gli animali predatori, il gatto non si interessa mai alle prede inanimate. La pallottola di carta o la palla immobile in mezzo alla stanza non lo smuoveranno di un millimetro; ma basta che il vento faccia fremere impercettibilmente la carta, o che una pendenza o un urto faccia rotolare la palla: ecco che il nostro amico spicca un balzo. È la vita, o l'apparenza della vita, che scatena la sua attività e gli fa dimenticare la propria angoscia. Un gatto gioca con un passerotto vivo o con un topo. Lo prende, lo depone per terra e con un colpo di zampa lo immobilizza, quando l'uccello o il roditore dimostrano qualche velleità di scappare. Se appena una di queste vittime, per paura o per astuzia, rimane immobile, ecco che l'attenzione dell'incosciente carnefice si rilascia al punto che, molto spesso, il topolino fa in tempo ad andarsi a nascondere in un buco e l'uccello può prendere il volo prima che il babbeo abbia il tempo di rimettersi dalla sorpresa.

Date quindi al gatto una preda simbolica: se la pallottola di carta innocentemente buttata sotto il suo naso non lo smuove, attaccate un turacciolo o una zampa di coniglio ad uno spago, eccitate la sua curiosità; quando avrà imparato a conoscere uno di tali «giocattoli», lanciate la palla sotto un mobile o attaccate il turacciolo alla maniglia della porta. Non avrà più bisogno di voi.


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L'educazione

Liberato col gioco dal pericolo, e coi pasti regolari da quell'altra schiavitù che è la fame, il gatto di casa è ormai nelle migliori condizioni per piegarsi a quell'indispensabile disciplina che è costituita dall'educazione o dall'addestramento; d'altronde, secondo tutti i psicologhi di animali, l'addestramento vero e proprio non è altro che un gioco disciplinato. Con il gatto, non si tratta, ovviamente, di obbligare un essere così indipendente a ripetere come si vuole, quando si vuole un numero da acrobata. Certi domatori, fortunatamente rari, si esibiscono in publico con gatti ammaestrati, equilibristi, acrobati, gatti che recitano la commedia, ridicolmente camuffati con un velo da sposa, un cappello da gendarme; spesso quei domatori hanno fatto capitolare i gatti con le privazioni, il terrore, le sofferenze, hanno ottenuto solamente dei robot nella pelle dei gatti. Ci sono gatti che non hanno più la possibilità di ribellarsi, né di fuggire; gatti messi alle strette, devono scegliere fra l'ubbidienza e la morte. Ho conosci un solo gatto artista che lo fosse per amore del padrone: 1 solo.

Ho visto, invece, gatti da circo ai quali avevano strappato le unghie, e due poveri gatti che erano divenuti docili perché erano ciechi. Cieco, un gatto! Uno di quei rari mammifere cui occhi possono impunemente guardare il sole e captare, una luce più lattescente, il riflesso meno percettibile. Cieco, un gatto! Che vergogna! No, nessuno può vantarsi di far cedere un gatto. Paul Morana scrittore, felinofilo e diplomatico nello stesso tempo, Paul Morand che sa giudicare le bestie e gli uomini, ammette che «in tutte le circostanze, un gatto farà cedere voi». L'esperienza ha dimostrato che il gatto non è così ostinato, così aspramente limitato come si può credere. Si ricordi l'originale studio presentato dal professor Tsal al congresso di psicologia di Montreal, per dimostrare che non c'è istinto apparentemente dominatore che non si riesca a correggere con un pò di giudizio e di pazienza.

Un gatto posto nella necessità di vivere in pace con dei ratti e di aiutarli per giungere, insieme con loro, al pasto, si adattò in meno di tre mesi e finì - volente o nolente - col capire. Non credete che un gatto che rifiuta d'entrare in una cesta, quando sa che quel mezzo di trasporto corrisponde alla visita del veterinario, ci entri di buona grazia quando sa che la cesta serve anche per andare in campagna?

«Non mi preoccupo mai di sapere se le tigri che voglio domare mi capiscono», mi ha confidato spesso Gilbert Houcke, un domatore eccezionale che gioca in tutta libertà con nove belve. «Cerco semplicemente di capire quello che pensano i miei gattoni, cerco di indovinare quello che provano, quello che sentono e che - per abbandono, per ostilità, per indifferenza - posso aspettarmi da loro».

Sottigliezze, sfumature delicatissime; che tuttavia sono importanti nei nostri rapporti con gli animali, e soprattutto con i felini, si tratti di tigri o di gattini siamesi. Non offendete mai un gatto. Non cercate di farvi obbedire dal gatto con grida o bastonate. Non picchiate mai un gatto se non siete assolutamente sicuro che sia lui il colpevole. I gatti, come i bambini, hanno il senso naturale della giustizia; non accettano di pagare se non hanno torto.


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Igiene generale

Un minimo di addestramento è necessario, però, perché il gatto, pur con le migliori intenzioni, non comprometta la pulizia delle nostre case né la fragilità dei tappeti o dei mobili.

Anzitutto igiene generale: la necessità non ha legge. Non so se mi spiego: in questo campo più che in ogni altro, non trascurate di «pensare da gatto».

Se non avete un giardino dove il vostro gatto possa ritrovare i propri istinti di animale libero, dove volete che faccia i suoi bisogni se non avete preparato nulla a tale scopo? «I gatti sono puliti», direte.

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Però bisogna intendersi: ho conosciuto una adorabile e timida persiana la cui evidente discrezione in proposito era talmente straordinaria, che diventava di un ermetismo e di una segretezza inquietanti. «Com'è pulita questa nuova gatta!», diceva estatica la padrona. «è qui da quasi una settimana e non ha ancora fatto niente».

Era molto pulita, infatti, la gattina dagli occhi candidi; ma poiché gli altri tre gatti le impedivano di servirsi dei recipienti dello stanzino, aveva trovato un altro sistema: la sorpresero una mattina, in cucina, sistemata dignitosamente sul lavandino. Non contate nemmeno su uno di quei gatti di alta classe (ne ho incontrato soltanto due, in trent'anni di relazioni feline), uno di quei gatti ben educati per natura che vanno al gabinetto, e fanno anche scorrere l'acqua! Uno giungeva fino a ricoprire con un giornale le tracce del suo passaggio. Questo tipo di perla è molto raro. Fategli quindi vedere il posto, nelle primissime ore del suo arrivo. Un piatto, basso, stabile, solido, di metallo o di cuoio bollito, abbastanza largo perché possa sistemarvisi bene e non uno di quei piatti da equilibristi che bastano da soli per dar la voglia di andare altrove! Sabbia? Carta spiegazzata? Cenere? Segatura? La sabbia è forse più sana, si «attacca» meno alle zampe che non la cenere. La segatura ha il vantaggio che la si può bruciare. La carta è economica. Potete decidere da voi.

Comunque sia, che si tratti di cani o di gatti, il principio di questo tipo di educazione resta il medesimo: quando, aiutati dalla pazienza (vostra) e dalla necessità (sua), avrete ottenuto in un posto preciso un risultato, allora, ma solo allora, manifestate la vostra soddisfazione con poche parole brevi dette in tono affettuoso: «Bene! Molto bene! Molto bene!». Invece non esitate, in caso di errore, a sgridare sul posto il colpevole, a trasportarlo d'urgenza sul suo piatto e, qui, ad accarezzarlo di nuovo. Il gatto più ottuso avrà capito che «là» vuoi dire punizione, fastidi e disaccordo e che «quì» vuoi dire carezze. Quindi ora sceglierà.

Si crede che i gatti siano tutti puliti, perché si vede quanta premura può avere il più piccolo gattino nel raccogliere sul pavimento un terriccio immaginario. Tutti i gatti lo fanno; nella segatura del piatto o nella sabbia del giardino come sulle piastrelle della cucina. è un istinto lontano, ormai inutile e gratuito, che ha lo scopo di non lasciare al nemico nessuna traccia; che però non corrisponde più, nei nostri gatti, al minimo pensiero di igiene. Perciò non ve ne dovete fidare troppo.


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Igiene del corpo

Poiché i gatti hanno ugualmente cura del pelame, si è trascurata a lungo la loro igiene. Se tutti i gatti si puliscono il pelo e si leccano, non è né per civetteria né per pulizia. Si «lavano» (per istinto anche, e per necessità) per lottare contro le carenze. Infatti la natura rinnova instancabilmente, alla superficie del loro mantello, la vitamina D, fattore indispensabile, che tanto più si accumula quanto più il gatto si espone alla luce. Ecco perché i gatti sanno approfittare al massimo dei raggi ultravioletti (luna o sole) e perché non c'è niente di peggio che voler aiutare troppo spesso un gatto nella sua toletta insaponandolo. Se solo due volte al giorno si sgrassassero i peli d'un gatto con un solvente qualunque, il meglio nutrito e il più robusto dei gatti non resisterebbe tre settimane. Ricordate però che il gatto gratta nel piatto, passeggia nel giardino, dorme sul tetto del garage. Non dimenticate che il gatto può avere parassiti, che il suo pelo può insudiciarsi e che i gatti, specie quelli dal pelo lungo, non possono pettinarsi e spazzolarsi come facciamo noi.

Una vecchia spazzola per i capelli, un pettine di metallo oppure una di quelle striglie morbide dai peli metallici montati su gomma, che si trovano in tutti i negozi di collari e di guinzagli, andranno benissimo.

Quante volte? Tutte le mattine, se non è esigere troppo. Il vostro amico ne sarà contentissimo, non per ragioni estetiche, ma perché apprezza la sensazione di benessere che danno al corpo umano i massaggi o le frizioni col guanto di crine. Eviterete così tutte le seccature che porta, in una casa pulita, la stagionale «caduta dei peli».

Normalmente questa «muta» avviene dalla primavera all'estate; è un fenomeno naturale, come il cambiamento di mantello della maggioranza dei mammiferi e il cambiamento di pelle dei rettili. Meglio quindi attivarla che cercare di ritardarla o di impedirla.

Salvo per la coda, si procederà a un vero trimming colla spazzola, e si terminerà con una lisciatura molto rapida del pelame con un guanto da toletta leggermente inumidito di acqua e aceto.

Per i gatti dal pelo bianco, una volta alla settimana, si userà preferibilmente uno shampooing secco, una polvere neutra a base di carbonato e di talco, profumata preferibilmente alla lavanda o alla verbena, dato che sono i profumi meglio tollerati dai gatti.


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È giusto fare il bagno al gatto?
E perché no? Benché il gatto, fiore del sole, sia molto più sensibile del cane al raffreddamento rapido, può essere bene fare il bagno a un gatto sporco e maleodorante.

I gatti che hanno fiducia nel padrone accettano perfettamente l'insolito intervento e, in seguito, si lasciano maneggiare abbastanza volentieri. I gatti dal pelo corto, l'abbiamo detto, non hanno dell'acqua il terrore che si crede. Ho anche incontrato, in agosto, vicino a Cannes, fra le isole di Lerins, un gatto nero che navigava sul mare col giovane padrone, a bordo di un piccolo canotto pneumatico e che - di propria iniziativa - si buttava in acqua ogni quarto d'ora per pescare, ma anche, ovviamente, perché gli piaceva.

Il tempo di questi bagni va però limitato al minimo. Il gattova asciugato prima con un asciugamano di spugna, poi con un asciugacapelli elettrico, e con una energica spazzolata finale. Non che i gatti siano freddolosi (i gatti selvatici e le linci si adattano benissimo alla neve; prima della guerra la marchesa di Scey Montbeliard aveva nella Haute-Marne dei siamesi che dormivano fuori, a venti gradi sotto zero); ma non hanno il riflesso salutare di scuotersi, di sgambettare, di fare del moto, come il cane, e hanno una tendenza troppo naturale all'immobilità quando sono diventati dei gatti felici. Ben lungi dal contare sulle stufe, sui termosifoni o altre sorgenti di calore, sarà meglio, al contrario, interrompere ogni tanto queste pigrizie da girarrosti, che trasformano il gatto in una cuccuma.

«Mamma», diceva un giorno una ragazzina, «ascolta il gatto che bolle!». Per profonde che siano le fusa, questo tipo di sonno di morte non gli fa certo bene.


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Gli artigli

Jules Renard scrive nel suo Diario: «Il gatto è la vita dei mobili». O l'autore ne parlava come poeta e non aveva mai avuto un gatto in casa, oppure aveva rinunciato ai vasi preziosi e ai legni rispettabili, senza contare le poltrone di cuoio. A meno che (non vedo altra spiegazione) non abbia avuto la saggia precauzione di fargli tagliare gli artigli una volta al mese. Giacché le grinfie del gatto hanno, nella sua vita, una grandissima importanza. Quale controllo deve avere su queste armi (così veloci ad essere sfoderate) per costringersi, quando vuole, a fare «la zampa di velluto»! Se dimentica eccezionalmente di tenerle in riposo per attaccarsi a una tenda o graffiare una persona inesperta gli si rimprovera il gesto come un crimine. Ora, gli artigli che non graffiano crescono fino ad impedire al gatto di camminare. Si rompono, cadono, s'incarnano esattamente come le unghie di un cristiano.

Il rimedio? Tagliarli se si è abbastanza sicuri di sè per non farli sanguinare. Quando e come? A quale lunghezza e ogni quanto tempo? Troppo corti, gli artigli di un gatto lo rendono un mutilato; troppo lunghi, ne fanno un invalido. Troppi gatti sono scivolati su un tetto, compiendo una caduta fatale, perché i loro padroni hanno creduto bene di tagliare al massimo quegli scomodi ganci.

Meglio ancora lasciare che l'animale se ne occupi da solo: generalmente un'assicella di legno tenero o un pezzo di sughero vanno benissimo. Però preferiamo un dispositivo più intelligente, molto in uso nei paesi anglosassoni e che si può facilmente fabbricare in casa.

Preparate un randello lungo 60-80 centimetri, di 10-15 cm di diametro; inchiodatelo diritto su due assicelle incrociate, come si fa per tenere in equilibrio gli alberi di Natale. Mettete sul tronco un vecchio tappeto, inchiodato preferibilmente a rovescio, cioè con la trama in fuori: avrete dato al vostro gatto una cosa molto utile: potere, ogni mattina, radrizzarsi contro un tronco d'albero, stiracchiarsi, piantarci le grinfie, raschiarlo due o tre volte al risveglio per distendere e sciogliere i muscoli, come fanno tutti i felini in libertà, come facevano i loro antenati.

Non si deve però concludere troppo rapidamente da questo gesto che in origine i gatti fossero verosimilmente arboricoli. Come tutte le grandi belve (tigri, leoni, ecc.) che non sanno camminare se non lentamente o procedono a balzi più o meno veloci, i gatti hanno l'abitudine di arrampicarsi su un mobile o una roccia, ma ad altezze sempre modeste, appena quel tanto che basta per potersi lasciar cadere sul nemico o sulla preda. Se capita che salgano più in alto, fino alla cima di un albero non sanno discenderne.

Vertigine? Paura del vuoto? Sono spiegazioni molto discutibili quando si sa con quale tranquilla audacia il gatto circoli su l'orlo di un tetto al settimo piano e con quale forza e agili e da quale altezza possa saltare ed atterrare senza danni, là dove il cane si romperebbe le ossa.


Come comprenderlo ed averne cura

Info Tutto il materiale, i testi e le fotografie utilizzate per questa sezione sono state tratte dal libro Avere un gatto di Fernand Mery pubblicato dalla Rizzoli. Il libro riporta un numero di informazioni maggiore e vi si consiglia l'acquisto.