Egitto, paradiso dei gatti

Nell'Egitto centrale, a Beni Hassan, fu scoperto un vero e proprio cimitero nel quale trecentomila gatti imbalsamati e mummificati dormivano da millenni. Nessun archeologo era presente per impedire il vandalismo: vennero stupidamente accatastati nella stiva di una nave che ripartiva per l'Inghilterra e venduti come concime!


Conoscete l'Alto Egitto, quello che comincia a Karnak in mezzo ai templi di Tebe e che conosce l'apoteosi nelle oscure tombe della Valle dei Re, quello che impone divinità dal corpo umano e dal capo di animale, per meglio precisare le frontiere d'un mondo nel quale la mente dei semplici mortali non può penetrare?

Logicamente, è nell'Alto Egitto che si può sperar di trovare una traccia, un particolare, che possano aiutare il cercatore a risalire il più lontano e il più sicuramente possibile nel passato dei gatti civilizzati.


Egitto, paradiso dei gatti


Le più eloquenti riproduzioni di gatti sono sulla tomba degli scultori Apuki e Nebamun, a Tebe, e datano dal regno di Amenophis III; o nel tempio di MedinethAbon sui bassorilievi consacrati alla caccia; gatti che sembrano più alti, più grandi, più longilinei dei più sviluppati gatti siamesi; gatti quasi sempre tenuti al guinzaglio, che cacciano per il padrone gli uccelli acquatici della palude. Erano gatti talmente stimati che si prendeva il lutto quando ne moriva uno, e chi li uccidesse veniva punito con la morte. Per loro si batterono interi popoli. Erano così ammirati che, da Menfi a Tebe, le donne più ricercate, le più adulate cortigiane erano quelle che per il colore e la forma degli occhi, l'agilità delle reni e il passo flessuoso s'avvicinavano maggiormente al «tipo gatta». Ma com'erano? Bruni o neri? Di colore uniforme o macchiato? Erano chiazzati o zebrati? Su questo semplice punto, chi se la sentirebbe di pronunciarsi con sicurezza?

Esiste in Europa, al British Museum, una pittura di Tebe, nella quale il gatto è rappresentato come una tigre, a strisce abbastanza irregolari; abbiamo peraltro immagini di gatti su papiri, ove lo stesso animale, di colore uniforme, è appena segnato da striature localizzate a metà delle zampe e a un terzo della coda. I gatti di Bubastis, di Hahbe Antar e di Arthemidos non hanno offerto alcun elemento nuovo al problema. Soltanto una sessantina d'anni or sono veniva scoperto nell'Egitto centrale, a Beni Hassan, un vero e proprio cimitero nel quale trecentomila gatti imbalsamati e mummificati dormivano da millenni. Quale fu la sorte di quella strana e preziosa scoperta? Nessun archeologo era presente per impedire quel vandalismo: vennero stupidamente distrutti, e la perdita è irreparabile. Sarebbe bastato conservare un centinaio di gatti presi a caso per sapere oggi qual era il colore, il pelame dei primi gatti. Sarebbe bastato poter fare una media per avere un'idea approssimativa della loro statura. Invece, per un insieme di assurde circostanze, tutti quei gatti vennero accatastati nella stiva di una nave che ripartiva per l'Inghilterra e venduti come concime!

Il professor W. M. Conway, nell'English Illustrateci Magazine del tempo, ha dato tutti i particolari dell'inqualificabile misfatto. Venti tonnellate - ventimila chilogrammi di gatti egiziani mirabilmente conservati - furono così trasportati fino a Liverpool e ceduti quasi tutti ai contadini, a quattro sterline la tonnellata; e si mescolarono alla terra inglese come il più prosaico letame!


Certo esistono, qua e là nel mondo, mummie alterate o semi-distrutte di cui non si capisce ancora l'importanza scientifica. C'è da sperare che un giorno uno specialista se ne interessi, e le metta a confronto, e consacri loro uno studio che possa dare qualche chiarimento sulla questione. Prima della guerra del 1914, il dottor Ehrenberg e uno studioso d'anatomia, il professor de Blainville, provarono invano. Dopo aver praticato l'autopsia di alcuni gatti mummificati, analizzato la natura delle stoffe che li avvolgevano, eccetera, conclusero che si trattava di gatti d'Abissinia.


Egitto, paradiso dei gatti

Al Cairo abbiamo trovato soltanto una tomba, un sarcofago vuoto di pietra: quello del gatto venerato dal padrone, capo dell'ordine degli architetti, che fece incidere il proprio nome nell'epitaffio del compagno di focolare.

Quando si pensa che una città intera, posta fra i bracci del Nilo all'altezza dell'attuale Benha-el-Asl sulla linea ferroviaria Ismailia-Cairo, fu un tempo consacrata ai gatti, si è sorpresi di constatare che, ai nostri giorni, in Egitto i gatti sono rari. Il loro ricordo è dappertutto, sì, ma spesso confuso con le effigie diverse di felini la cui specie è mal stabilizzata.


Egitto, paradiso dei gatti
Sekhmet

È una gatta o una leonessa, la sorprendente statua di Sekhmet dall'ammirabile corpo femminile, che vi accoglie in fondo al suo oscuro ricettacolo e che ha per compagna Bastet, più addolcita ma altrettanto sconcertante? L'una spaventa, l'altra rassicura, ma non è possibile precisare dove finisca la «belva pericolosa» e dove cominci la «cara tigretta».


Egitto, paradiso dei gatti Bastet

La stessa confusione, del resto, si ritrova fra il caprone e il montone, tra losciacallo e il lupo, tra il lupo e il cane; e poiché l'Antico Egitto non ha lasciato documenti comparabili a quelli della Bibbia o del Corano, dove trovare le notizie, le precisazioni, i riferimenti? Soltanto le statue «complete» di gatti (le statue con il corpo e con la testa d'animale) possono suggerirci un'immagine del gatto domestico dell'Alto Egitto. Tenuto conto delle diverse proporzioni, tale tipo si avvicinerebbe al più mite e addomesticabile dei felini: al gattopardo. Solo il gattopardo - se avesse gli artigli retrattili - potrebbe, esteticamente, far pensare al gatto delle statue egizie. Né la leonessa, né la tigre, dal muso più largo e più basso, ebbero quel corpo snodato, quelle zampe dalle dita lunghe e solide, quel torace relativamente stretto fra le spalle diritte, quella testa serpentina.


L'origine probabile del gatto domestico
Sono rari, in definitiva, i documenti in base ai quali si possa stabilire l'origine probabile del gatto domestico. Eppure, l'Antico Egitto, è come fosse ieri: che cosa sono due o tremila anni nella storia di un essere? Che cosa rappresenta l'età del gatto domestico, se consideriamo che il cane è vicino all'uomo fin dai primi passi dei nostri più antichi progenitori, da centinaia e centinaia di migliaia d'anni!


Sappiamo soltanto che, appena apparso nell'Alto Egitto, Sua Maestà il Gatto diventerà Divinità Sovrana. È lui l'ospite sacro, in tutta la sua grandezza. Se è maschio, è l'alleato del sole e il vincitore di Apopi, il serpente notturno; se è femmina, è adorata dal popolino e diventa la «Signora del Cielo». Questa sovranità sconcertante durerà quasi duecento lustri, fino al giorno della decadenza, il giorno in cui crolleranno le dinastie faraoniche, l'ora in cui nascerà la religione cristiana, la nuova fede, scintillante di luce, che tuttavia getterà per sempre il gatto nelle tenebre, abbandonandolo alla più tragica delle sorti.


Info Tutto il materiale, i testi e le fotografie utilizzate per questa sezione sono state tratte dal libro Avere un gatto di Fernand Mery pubblicato dalla Rizzoli. Il libro riporta un numero di informazioni maggiore e vi si consiglia l'acquisto.